È su Dante l’ultima fatica di Papa Francesco. Come molti suoi predecessori anche l’attuale Pontefice ha voluto lasciare una traccia sull’importanza della Commedia e di Dante quale pensatore e attore cristiano.A chiunque abbia ricevuto un’infarinatura scolastica intorno alla Divina Commedia apparirà ovvia la considerazione della Cattedra di Pietro verso un profondo conoscitore delle scritture così come della scolastica medioevale tanto da “divinizzare” il percorso, definito come un vero e proprio pellegrinaggio dell’uomo dalla “selva oscura” dei problemi della vita e della difficoltà dei tempi verso l’appagamento del desiderio attraverso la redenzione ed il contatto con il sacro.Francesco ci racconta delle difficoltà di Dante, perseguitato, esule, in povertà, costretto ai servigi verso potenti famiglie bendisposte ma anche di come questa “selva oscura” nella vita del poeta non l’abbia dissuaso dalla ricerca di una felicità superiore fatta da un duro e lungo cammino che senza eludere peccato e sofferenza presenti nell’Inferno, attraverso una nuova pietas lo porta alla speranza ritrovata nel Paradiso fino alla beatitudine del Paradiso.Così come nella Vita Nova e nel Convivio sarà l’amore che guiderà il pellegrinaggio, sostenuto dalla presenza ossessiva del libero arbitro che consente scelte libere ma dense di conseguenze eterne. A Francesco piace ricordare la figura di Manfredi quale esempio di grande peccatore (capo della fazione Ghibellina) che con sincero pentimento riesce ad avere speranza di salvezza. Il Papa non è certo un esperto di letteratura medievale e tantomeno un dantista ma la sua Lettera Apostolica ci lascia il messaggio di un’attenzione alle radici cristiane della civiltà occidentale né fazioso né dogmatico. Lo fa rivendicandone con le parole di Paolo VI Dante come poeta “nostro” ma anche ricordando che oltre alle difficoltà del pensiero filosofico e teologico della Commedia chiunque, con un po’ d’impegno può goderne la bellezza e l’esperienza rivoluzionaria della scelta della lingua del popolo.