Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Simone Weil, Adelphi
Testo quanto mai complesso e, soprattutto nella seconda parte, condensato di pessimismo. La Weil scrive le “riflessioni” a 25 anni, quando Hitler, Stalin sono già al potere e la brutalità del totalitarismo si staglia già con sufficiente nettezza. La sua critica all’idea di riscatto sociale e complessiva ed ampia. Inizialmente simpatizzante del movimento comunista ne apprezzerà alcune decisive tendenze marxiste come il metodo materialistico, in quanto necessario per conoscere le condizioni materiali che determinano le possibilità d’azione e l’analisi dell’oppressione come fenomeno legato alle forme di produzione. Condivide con Marx l’essere, l’oppressione un organo di una funzione sociale. Non sostiene l’idea di una rivoluzione salvifica capace di eliminare l’oppressione, convinta che gli oppressi una volta al potere dovranno, per forza, ricalcare il modello dove ci sarà chi darà gli ordini e chi gli dovrà eseguire senza l’eliminazione della fatica e dell’alienazione del lavoro materiale. Importante la feroce critica alla burocrazia che, creata da qualunque organizzazione, (compresa la rivoluzione bolscevica) tradisce “sempre” La sua riflessione, ricca di spunti antropologici legati al passaggio dalla società tribale, senza divisione del lavoro, all’avvento della grande fabbrica vista come il vero campo dello sviluppo e della possibile crisi del capitalismo, introdurrà forti elementi di critica allo sviluppo delle scoperte scientifiche ed all’avvento della tecnologia foriera di quel macchinismo che attraverso l’automazione spersonalizzerà ancora di più il lavoro. La Weil ci regala una visione lucida dei caratteri oppressivi della società contemporanea abbandonandosi ad un riformismo che indica una resistenza attiva a partire dal lavoro. Lavoro che dovrebbe ricercare maggiori legami tra processi e finalità, tali da far crescere la “dignità del produttore” e indicando nello sviluppo della tecnica la speranza per un maggior rapporto del lavoratore con il suo lavoro. Fulminante l’incipit: “il presente è uno di quei periodi che svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita e, se non si vuole sprofondare nello smarrimento o nell’incoscienza, tutto va rimesso in questione”.